Reale Società
Ginnastica di Torino

Fondata nel 1844

PASSIONI REALI

INTERVISTA AD ANDREA ANCESCHI

Andrea Anceschi è uno che del sacrificio, della costanza, dell’amore per il proprio sport e lavoro ha fatto una ragione di vita.

Nei momenti che stiamo vivendo questi sono i valori a cui vogliamo aggrapparci. Lo abbiamo intervistato e le sue parole, non avevamo dubbi, sono state emozionanti e motivazionali.  

D. Un aspetto molto interessante della ginnastica è che mesi e mesi di allenamento si risolvono in un minuto o due…

R. La ginnastica è fatta così, nel senso che è capace di darti grandi soddisfazioni ma non perdona mai. A un certo punto hai una possibilità unica e devi sfruttarla, non torna più. Un po’come i calci di rigore in una finale, ecco, ogni volta che un ginnasta alza un braccio sta tirando un rigore. Serve uno stato di allenamento ideale a livello fisico, ma soprattutto a livello mentale: la parte adrenalinica ed emotiva di una gara è difficilmente gestibile, soprattutto per un giovane. Quello che serve è un’organizzazione precisa, ogni ginnasta vive un ciclo quotidiano dal risveglio al momento in cui va a dormire, noi tecnici dobbiamo essere bravi a insegnarli come gestirlo al meglio, per costruire da quel giovane un atleta completo, soprattutto dal punto di vista psichico. 

D. Cosa significa questo per un ragazzo e quanto può essere importante per te questo atteggiamento anche al di fuori dello sport?

R. È come una goccia sulla pietra, è un movimento di erosione e di eliminazione di atteggiamenti e pensieri non propedeutici al raggiungimento di una performance e del risultato. Questo è uno dei punti fondamentali, soprattutto nella società in cui viviamo oggi, dove si dà troppa poca importanza alla fatica e dove le famiglie tendono a proteggere troppo i propri figli, spesso giustificandoli. È vero, questi ragazzi, anche a causa della pandemia, oggi sono costantemente al computer, costantemente stressati da migliaia di input informatici ogni giorno, e gli unici sfoghi che hanno sono i film, Instagram o la Playstation, ma questa non deve essere considerata una scusa. Per un atleta lo stile di vita è legato a doppio filo con l’allenamento, e noi tecnici dovremo essere bravi nel lavorare per riportarli a uno stile di vita consono a quello che si addice a un vero atleta, una volta che la pandemia sarà finita. 

D. Quanto contano il talento e quanto l’allenamento?

R. Guarda io sono uno che se ha combinato qualcosa con la ginnastica l’ha fatta perché ci ha sbattuto la testa come un mulo. Io sono cresciuto sportivamente in mezzo a una generazione di fenomeni, una Cinquecento in mezzo alle Ferrari. Ma ho scoperto, e me lo sono anche tatuato su un braccio, che i limiti come le paure sono spesso soltanto un’illusione, e questo mi ha dato la forza di continuare ad allenarmi duramente ogni giorno per raggiungere la massima espressione del poco talento che avevo. Questo cerco di trasmetterlo anche ai miei ragazzi, lo spirito di sacrificio. E c’è da dire anche un’altra cosa: un talentuoso è uno fortunato, non c’è dubbio, vede qualcosa una volta ed è subito in grado di replicarla. Ma siamo sicuri che una costruzione del gesto a partire dal nulla non sia più efficace, soprattutto nella ginnastica? Siamo sicuri che non diventi più semplice per il non talentuoso, una volta imparato il gesto con tanta fatica e ripetizione, rispetto a uno talentuoso?

D. Ci racconti un aneddoto divertente della tua carriera?

R. Mi viene in mente subito questo. È il 1997 e io sono partito per i mondiali di Losanna per fare cinque attrezzi. Juri Chechi aveva un risentimento alla spalla e non avrebbe partecipato, io ero naturalmente carichissimo. Tutta la squadra era già in Svizzera e io stavo finalmente per debuttare ai mondiali. Due giorni prima della gara arriva una telefonata in hotel. Era Juri: il risentimento alla spalla era passato, stava salendo a Losanna in automobile! Io da cinque attrezzi che dovevo fare sono passato a riserva, e Juri ha vinto la sua quinta medaglia d’oro. Io ero e sono molto orgoglioso di aver fatto parte di quel team, a parte Chechi c’era gente del calibro di Bucci [aggiungere altri], personaggi davvero importanti per lo sport non solo a livello italiano. E orgoglioso della fatica che il mio allenatore, Massimo Cuoghi, mi ha fatto fare, delle montagne che mi ha fatto scalare e di come mi ha costruito; quando sei giovane non lo vedi, ma poi ti si aprono pagine mentali che valgono la fatica, e a quel punto tu diventi il costruttore di te stesso, nello sport come nella vita. 

D. Se non avessi fatto l’atleta e successivamente il tecnico cosa avresti fatto? 

R. Non saprei proprio cosa risponderti, da che ho ricordi questo è quello che ho voluto fare. Quando ero piccolo a Modena, avrò avuto cinque anni, mia madre mi portò a vedere la tomba di Alberto Braglia, un ginnasta che ha vinto tre olimpiadi. Quando mia madre fece per tornare indietro io restai qualche secondo in più davanti alla sua statua, la guardai e le dissi: Io ti batterò. Purtroppo non ci sono riuscito (ride) ma ho sempre avuto le idee molto chiare. Anche mio padre era un ginnasta, era molto forte ma ha dovuto smettere per esigenze famigliari e di lavoro, io in qualche modo credo di aver cercato di portare avanti quello che aveva iniziato lui. 

D. Cosa ti motiva?

R. La curiosità. Per riuscire ad affrontare una vita di sacrifici tutti i giorni devi essere curioso. Io vedo l’atleta un po’come una macchina con il serbatoio pieno, solo che non si può mai sapere quanta benzina abbia al suo interno. Noi tecnici dobbiamo essere bravi a capire quando spingere sull’acceleratore e quando rallentare, e forse questa è la cosa più difficile di questo mestiere. Riconoscere quando è il momento di caricare un ragazzo o una ragazza e quando invece arriva il momento in cui è necessaria una pausa. Questo per me è fonte di grande curiosità, vedere come un ragazzino di dieci anni svilupperà il suo talento, e se io sarò in grado di portarlo alle Olimpiadi otto anni dopo! (ride). 

D. Come ti trovi alla Reale?

La Reale non ha bisogno di presentazioni, la conosco da sempre. È la società più blasonata e più storica d’Italia, esiste da prima che esistesse la Federazione. È una società importante, sana e forte, e questo mi carica di orgoglio, di responsabilità e la sento come una grande sfida, perché nel corso del tempo ha ottenuto risultati importantissimi, basti pensare all’Oro Europeo di Ferretti, o alle Olimpiadi di Barcellona di Veronica (Servente n.d.r.). 

D. A proposito di Veronica…

R. (Ride) Veronica la conosco da trentacinque anni, entrambi abbiamo inseguito a distanza i nostri sogni e le nostre vite finché non ci siamo ritrovati a Fano per una sessione di allenamenti estivi e, come si dice, galeotto fu il camp. A parte gli scherzi, mi sento fortunatissimo a fare il lavoro che amo insieme alla persona che amo, è davvero qualcosa di speciale. 

D. Quali sono i tuoi idoli musicali?

R. Non posso non citare i Pink Floyd o i Dire Straits, ma mi piace anche certa musica classica da camera. Però se devo dire la verità la cosa che preferisco è il silenzio, soprattutto quando devo pensare: è solo con il silenzio che senti il vero rumore dei pensieri che hai in testa. 

D. Idolo sportivo?

R. Senza dubbio Alex Zanardi. È una persona che è stata in grado di ricostruirsi dopo qualcosa che dire devastante è poco. Non solo a ricostruirsi, è riuscito a vincere e per me questo è qualcosa di davvero incredibile, per farlo serve una grandissima fede in sé stessi, o davvero non so in che cosa, e questo suscita in me una stima infinita, sia per la persona che per l’atleta.

D. Quali sono i vostri obiettivi sportivi per quest’anno?

R. Se devo essere sincero l’obiettivo numero uno è non contagiarsi a vicenda, bisogna andare un po’ in punta di piedi. Ad esempio la gara di Siena con la serie A dobbiamo farla assolutamente ma alcune più avanti preferirei valutarle prima con attenzione perché è necessario lavorare in sicurezza. Basta che venga contagiato un atleta per inficiare non solo tutta la squadra, ma l’intera società e questo naturalmente va evitato. Un altro obiettivo importante insieme a Romain (Dauba n.d.r.), che esula dalla situazione in cui siamo, è quello riguardante la squadra di trampolino. È uno sport difficile e pericoloso che necessita di una grande concentrazione mentale e di una forma fisica perfetta, ma il gruppo è compatto ed è come se il disegno abbozzato da me e Romain stia iniziando a prendere la forma che avevamo in mente. 

Andrea Anceschi è uno che del sacrificio, della costanza, dell’amore per il proprio sport e lavoro ha fatto una ragione di vita. In momenti come questo